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Ligabue, una vita su e giù dal palco tra rock, lambrusco e 3D

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alphadj
view post Posted on 21/12/2011, 11:46




Rockstar di primissimo piano, Luciano Ligabue incontra i lettori di Repubblica alla Casa del Jazz. Un'occasione per raccontarsi in coincidenza con l'uscita del triplo cd e del boom nelle sale del film Ligabue Campovolo (che con un incasso di oltre 1 milione di euro è il più visto tra i film-concerto dai tempi di Woodstock).


Repubblica. Una sorta di fermo immagine sull'oggi che offre lo spunto per tornare a più di 20 anni fa, quando uscì il primo disco... Come scoccò la scintilla iniziale?
La scintilla è la passione che ti avvicina alla musica. Scoccò da bambino: c'erano i juke-box e la colonna sonora della giornata erano Beatles, Battisti, Stones... A 15 anni incontro i cantautori e capisco il valore delle parole in una canzone. Contemporaneamente, nel '75, nascono le radio libere e mio padre mi regala una chitarra. Dopo aver suonato le canzoni degli altri, mi sono detto: ci provo anch'io... Dopo molti tentativi, ho capito che dovevo raccontare quello che vedevo con i miei occhi. Ma il primo concerto è arrivato a 27 anni, il disco a 30.

Clio Tozzi. Per superare le difficoltà iniziali ha contato più la voglia di emergere o la fortuna?
Fortuna tanta, compresa quella di poter stabilire il suono del mio primo disco. Un suono quasi di cantina, diretto, fatto di chitarre, diverso da quello fine anni '80. Ma rifiutato da tutte le case discografiche, finché una di queste apre un'etichetta affidando il compito a dei ragazzi. Che insistono per inaugurare la nuova etichetta con il mio album. La voce circola e intanto cambia il direttore artistico della Warner, che sente il nastro mentre sta tinteggiando le pareti dell'appartamento. E chiama il mio produttore di corsa a casa sua, "costringendolo" a firmare un accordo su un tovagliolo.

Repubblica. A quel punto vede la luce quell'equilibrio sospeso tra la via Emilia e il West, tra rock, lambrusco e popcorn, link tra storie italiane e sogno americano.
Per raccontare il mio modo di vedere la vita, nei primi tempi mandavo avanti una schiera di personaggi e mi nascondevo dietro a loro. Successivamente ho deciso di raccontarmi più che posso con canzoni in prima persona singolare.

Clarissa Bianco. Come decidi che per raccontare una storia è meglio una canzone, un film, un libro?
Sono cose molto differenti, specialmente le canzoni dal film. Tra canzone e racconto ancora ci può essere una via di congiunzione. Ma in realtà sono scelte che si compiono un po' da sole... Fare una canzone significa essere obbligato a un'opera di sintesi massacrante, che non sempre arriva. E avere quelle 200 parole, ognuna delle quali con il giusto suono e il proprio peso specifico. In più - anche se non mi ritengo "legato" al rock - ci sono i problemi di questo genere: un linguaggio ritmico e impone testi altrettanto ritmici. Spesso è arduo trovare parole adatte. Può quindi capitare che una certa storia "non ci stia" in una canzone. In qualche caso, vado naturalmente in altre direzioni e mi prendo la briga di fare un film. Una fatica massacrante, e alla fine non ci sei nel film! Ma è un altro tipo di soddisfazione, come è accaduto soprattutto con Radiofreccia.

Repubblica. Comunque con Ligabue Campovolo sia il film che il disco raccontano le emozioni del megaconcerto di questa estate. Ma è un caso a parte, visto che stavolta ci sono due registi impegnati sul versante cinematografico.

Sara Pecoraro. Che differenza riscontri tra fare il regista ed essere diretto?
Fare un film è un lavoro molto mentale, per poi cercare di tirarci fuori "la pancia". Ma in questo caso ho fatto soltanto il mio concerto. Godendomi, la sera della proiezione, la possibilità di rivivere le emozioni del concerto. Anche se penso che le emozioni vadano vissute e bruciate, è bello che chi non poteva esserci abbia una possibilità di vedere il concerto. E il trasporto che mi dato questo film credo sia effetto delle riprese in 3D: i precedenti dvd non reggono il confronto.

Maria Somma. A Campovolo ci hai regalato due inediti scritti anni fa. Cosa ti ha spinto "ora" a cercare, tra tutti i pezzi, quelli di "allora"?
Una di queste, M'abituerò, era stata malamente registrata mentre la suonavo dal vivo e poi messa in rete. È una delle prime canzoni d'amore che ho scritto, nata un po' come uno sfogo, che però oggi è diventata una "fotografia" di un mio momento personale. E succede che ogni tanto vado a frugare tra le cose che sono rimaste fuori tra dischi: così ho "ritrovato" Sotto bombardamento, che parla del bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti. Solo che era stata scritta nel '95: niente rispetto a oggi! E la frase chiave è "più sento e meno meno sento". Ne è uscito fuori un pezzo rock un po' "selvatico" come piace a me.

Luisa Maglione. Quando hai messo gli occhialini per vedere il film in 3D, sei riuscito a capire cosa prova chi sta "giù dal palco"?
Fin lì non ci arrivo! La sera della prima è stata speciale: oltre a tanti di voi, c'era la mia famiglia e tantissimi amici che forse mai ero riuscito a mettere insieme. Quello che ho visto è esattamente quello che vedo quando sono sul palco. Il colpo d'occhio sul pubblico è incredibile: quella è la vera "ricompensa", il motivo profondo per cui faccio canzoni. È impagabile percepire quell'energia e quell'armonia in quelle facce che lasciano andare le emozioni.

Cecilia Natalini. Cosa ha ispirato Atto di fede?
È una delle mie canzoni più importanti perché - in un album sullo scorrere del tempo come Arrivederci Mostro! - è giocoforza speciale. Si parla dell'esperienza della vita alla luce dei cambiamenti, elencando alcune delle cose fondamentali che ho visto nella mia vita, per cercare di capire come sono arrivato a quel punto. Arrivando poi al ritornello in cui sottolineo un concetto a cui tengo particolarmente e cioè che vivere è già un atto di fede.

Luciano Paolucci. Com'è cambiata la tua vena artistica rispetto a 20 anni fa?
Ho perso l'incoscienza di allora, ho più "filtri". Ma il bisogno di raccontare è intatto. Non ho la rabbia di una volta e posso dire, ad esempio, il meglio deve ancora venire. Frutto della fiducia che ho acquisito nella vita, che voglio trasmettere. Il futuro non si può progettare più di tanto, tanto vale vivere il presente prendendosi le proprie responsabilità.

Repubblica. E il suo, di immediato futuro?
Ho in programma di mettere ordine e fare pulizia in solaio.
 
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